20.1.12

CASTELLI DI LIBRI

Avevo raggiunto i dieci anni, un groviglio d'infanzia ammutolita. Dieci anni era traguardo solenne, per la prima volta si scriveva l'età con doppia cifra.
L'infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta dentro lo stesso corpo di marmocchio inceppato..., rimescolato dentro e fermo fuori. Tenevo dieci anni. Per dire l'età il verbo tenere è più preciso. Stavo in un corpo imbozzolato e solo la testa cercava di forarlo...
Me ne stavo rinchiuso nell'infanzia, per balia asciutta avevo la stanzetta dove dormivo sotto i castelli di libri di mio padre. Salivano da terra sul soffitto, erano torri, cavalli e fanti di una scacchiera messa in verticale...
Attraverso i libri di mio padre imparavo a conoscere gli adulti dall'interno. Non erano i giganti che volevano credersi. Erano bambini deformati da un corpo ingombrante. Erano vulnerabili, criminali,  patetici e prevedibili. Potevo anticipare le loro mosse, a dieci anni ero un meccanico dell'apparecchio adulto.  Lo sapevo smontare e rimontare.
Di più mi dispiaceva la distanza tra le loro frasi e le cose. Dicevano, anche solo a se stessi, parole che non mantenevano. Mantenere: a dieci anni era il mio verbo preferito. Comportava la promessa di tenere per mano mantenere. Mi mancava. Mio padre s'infastidiva in città a prendere per mano, per strada non voleva, se provavo si liberava infilandosela in tasca. Era una respinta che mi insegnava a stare al posto mio. Lo capivo perché leggevo i suoi libri e sapevo i nervi e i pensieri che stavano alle spalle delle mosse.

Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi
Feltrinelli, 2011, pp. 10,11,14


Foto by Kristin Brenemen