23.8.06

ADOLESCENZA A SARAJEVO



I camion con le taniche, attese da tanta gente ripiegata su se stessa per offrire minor bersaglio ai cecchini, percorrono le strade del tram e tagliano i crocevia...
Di colpo... davanti a noi appare una grande costruzione: il Parlamento. Sono rimasti i muri esterni, dei grandi buchi sostituiscono le finestre. In cima ci sono i bassorilievi con le croci e i gigli. L’edificio è rimasto senza quelle vetrate nelle quali per un intero secolo si erano specchiati Sarajevo e Trebevic. Assomiglia un po’ al volto di un uomo al quale sono stati cavati gli occhi. Passando attraverso le macerie vedo l’interno. I soffitti, i pavimenti hanno ceduto e laddove una volta c’era l’atrio dal pavimento istoriato, ora c’è un grande ammasso di travi bruciate, di tubi di ferro e di mattoni anneriti. All’interno, dai muri, come le ostriche sugli scogli o i funghi sugli alberi, pendono questo ammasso di pezzi di scale che ormai non portano da nessuna parte. E su tutto, come farfalle nere, volano le pagine bruciate dei libri e i cartoncini anneriti delle schede dei cataloghi.
Quando ci si avvicina, attraverso le finestre, al pianterreno, da dove prima non si poteva vedere nulla, ora si vede il cielo...
"Attraversiamo il ponte e prendiamo posto in una delle quattro file per l’acqua...
Il cortile della moschea è circondato da un alto muro: all’interno c’è un sentiero di pietra, punteggiato da cespugli di rose e da piante di foglie rosse, nei quali, fino a metà, sono nascosti bianchi cippi funerari. Lo sguardo che posso gettare al di là del giardino, attraverso le feritoie del muro, dà la sensazione che qui tutto inizi e finisca e che nulla di ciò che si vede fuori, né i viali, né i pioppi lungo il fiume, né il ponte né il Parlamento bruciato abbiano più senso. Il mondo fuori dal cortile della moschea, visto attraverso le feritoie, sembra incarcerato, condannato alla distruzione e alla provvisorietà. Solo qui dentro, dove si sente l’acqua scorrere e dove c’è odore di rose si avverte ancora l’odore della libertà.
Osservo la gente in fila. Alcuni guardano avanti a sé in silenzio, ancora non credono che tutto questo sia accaduto davvero proprio a loro: che alla fine del ventesimo secolo, nel cuore di una grande città e dell’Europa si debba fare la fila per avere un po’ d’acqua da un tubo di gomma e poter così riempire le taniche.

Nedad Velickovic
, Diario di Maja
Editori Riuniti, Roma 1995, pp. 132-135
Foto by Philip