
Dove e come impareremo ad amare, per esserne capaci fino alla fine, senza stancarci? In risposta a questa domanda - che pone in termini esistenziali la questione dell'uomo davanti a Dio - si può richiamare l'alternativa fra la visione religiosa della vita e della storia e la concezione che ritiene che l'uomo sia solo, che Dio non ci sia e perciò si possa contare solo sulle proprie forze. Questa concezione ha affascinato soprattutto la cultura del tempo della modernità e si è espressa nei grandi miti ideologici, di destra e di sinistra, che hanno caratterizzato gli ultimi secoli, per crollare solo di fronte all'esperienza storica della violenza che essi stessi hanno prodotto nei vari totalitarismi in cui sono sfociati. Ecco perché oggi, più che mai, ci accorgiamo che l'uomo non è spiegazione a sé stesso. Per scrutare il proprio mistero egli ha bisogno di aprirsi ad un Mistero più grande: ed è qui che risulta non solo interessante, ma importante e decisivo pensare l'uomo nella prospettiva teologica, nella prospettiva cioè della fede del Dio rivelato. Rispetto a chi vede nell'uomo l'unica possibile risposta a sé stesso, e perciò l'enigma di una vita "gettata verso la morte" senza spiegazioni né prospettiva che non siano quelle dei giorni che passano, la visione teologica riconosce in lui "l'essere della trascendenza". Ciò vuol dire che l'uomo è chiamato a vivere la propria vita non come prigione o stasi, ma come esodo, per uscire continuamente da sé ed andare verso il mistero che lo circonda e lo attrae.
Bruno Forte, La sfida di Dio. Dove e fede e ragione si incontrano
Mondadori, Milano 2002, pp. 182, 183
Foto by Biluu_72