
Ma il mio matrimonio non era così. Mi ero perso, forse c'eravamo persi, Clara e io, nel tragitto. Ma non perché uno di noi si era smarrito per una via collaterale e nemmeno perché non c'era più l'amore. Già, l'amore. Chi se ne ricordava più dell'amore? La nostra vita era perfettamente strutturata. Il lavoro innanzitutto. Tanto, tantissimo, troppo...
Io a casa c'ero di rado. L'ambizione, la ricerca di un reddito sempre più appagante e poi quello strano meccanismo per cui quanto più fai, tanto più faresti e poi non puoi più farne a meno, mi imprigionavano al lavoro per un numero di ore impressionante. E poi quando tornavo a casa, metà testa rimaneva ancora al lavoro e l'altra metà era talmente abbruttita che anelava soltanto a un lungo e oblioso sonno...
Per noi due non c'era più tempo. Spesso addirittura ci si accorgeva dell'altro solo quando quest'ultimo con le sue abitudini, le sue manie o i suoi capricci, creava un disagio o un dispetto.
Ancora peggio, forse, era il cronico fuori tempo che minava quello che avrebbe dovuto essere il nostro duetto. L'abitudine, la consuetudine, la certezza che l'altro era comunque lì, a disposizione, legato non certo da un contratto, che per entrambi avrebbe avuto poco significato, ma da un amore che pur privato ormai della passione, del mistero, dell'aspettativa e perfino dell'insicurezza aveva assunto le caratteristiche della cronicità, facevano si che i bisogni, i tempi e le richieste del partner finissero sempre per essere poco considerati e, comunque, messi in ombra dai propri...
Ed era una vita di coppia che comunque ritenevo, ritenevamo, per abitudine, assuefazione e quant'altro, la nostra vita di coppia. O meglio la nostra vita in coppia. Finché non è cambiato tutto. Finché non siamo caduti in questo baratro di cui non sospettavamo la reale esistenza e, soprattutto, di cui non conoscevamo la profondità. Sì, perché la morte, la malattia, la sofferenza, la menomazione erano realtà di cui eravamo consapevoli ma che riguardavano gli altri...
Ricordo di averla salutata quando sono venuti in camera a prendermi per portarmi in sala operatoria. Lei era lì, con un sorriso che cancellava tutte le preoccupazioni e le paure... E io capii in quel momento che lei avrebbe voluto essere al mio posto, avrebbe voluto potermi esonerare da questa tremenda prova e sostituirsi a me. Capii in quel momento quanto era grande l'amore nel cuore di questa donna...
E io vedendomi riflesso nei suoi occhi, mi rendo conto di quanto sono importante. Proprio adesso che non valgo più nulla, che per il mio consiglio di amministrazione non sono altro che un episodio che fa scuotere il capo e mormorare frasi di circostanza, che qualsiasi compagnia di assicurazione, che prima avrebbe fatto carte false per avermi come cliente, adesso non mi vorrebbe nemmeno più come voce per la beneficenza natalizia, io, tramite Clara, mi accorgo di essere rilevante come persona. E' il suo amore che mi rende essenziale, il suo amore che mi vuole anche così: inutile, dolente, ripugnante...
Sembra incredibile poter comunicare senza fare uso di parole, eppure tra Clara e me è diventato possibile... I pesci, infatti, non parlano ma, ormai ne sono sicuro, sanno benissimo cos'è l'amore.
Marco Venturino, Cosa sognano i pesci rossi
Mondadori, Milano 2006, pp. 89-97
Foto by ambra trotto