10.3.10

MOZART NEL LAGER

All'inizio tenevano concerti solo per gli ufficiali delle SS... bastava far finta che non ci fossero. Ti perdevi nella musica: era il solo modo. Anche quando applaudivano, non alzavi nemmeno lo sguardo. Non li guardavi mai negli occhi. Suonavi con tutto te stesso. Ogni interpretazione era la migliore, non per compiacere loro, ma per dimostrare che cosa sapevi fare, per far capire quanto eri bravo a dispetto di tutto quello che facevano per umiliarti, per distruggerti nel corpo e nell'anima...
Ma tra loro aleggiava un comune senso di vergogna. Loro venivano nutriti, gli altri no. Loro venivano tenuti in vita mentre gli altri andavano nelle camere a gas. Molti erano consumati dal senso di colpa, che si moltiplicò mille volte quando scoprirono la vera ragione per cui era stata messa insieme quell'orchestra, perché continuavano a provare. I concerti per gli ufficiali delle SS si rivelarono sinistre prove generali per qualcosa di molto peggiore.
Una fredda mattina, col suolo coperto di neve, li costrinsero a riunirsi con i loro strumenti e ordinarono loro di sedersi e suonare vicino ai cancelli del campo. Poi arrivò il treno: i vagoni erano stipati di nuovi prigionieri.
Quando furono scesi tutti , li fecero mettere in fila e poi li divisero. I vecchi e i giovani e i deboli furono spinti oltre l'orchestra, verso l'edificio delle docce, così dissero loro; chi era forte e abile al lavoro fu condotto verso le baracche. E intanto... gli altri suonavano il loro Mozart. Capirono molto presto a che cosa serviva: a placare il terrore, a ingannare ogni nuovo carico dandogli un falso senso di sicurezza. Erano parte di una messinscena mortale. Sapevano benissimo che l'edificio delle docce era una camera a gas.
Suonarono una settimana dopo l'altra, un mese dopo l'altro, un treno dopo l'altro. E ventiquattr'ore al giorno i camini del forno crematorio sputavano fuoco e fumo e puzzo. Finché non ci furono più treni; fino al giorno in cui i campi vennero liberati.


Michael Morpurgo, La domanda su Mozart
Rizzoli, Milano 2008, pp. 50-57

Foto by FaP