Ma tra loro aleggiava un comune senso di vergogna. Loro venivano nutriti, gli altri no. Loro venivano tenuti in vita mentre gli altri andavano nelle camere a gas. Molti erano consumati dal senso di colpa, che si moltiplicò mille volte quando scoprirono la vera ragione per cui era stata messa insieme quell'orchestra, perché continuavano a provare. I concerti per gli ufficiali delle SS si rivelarono sinistre prove generali per qualcosa di molto peggiore.
Una fredda mattina, col suolo coperto di neve, li costrinsero a riunirsi con i loro strumenti e ordinarono loro di sedersi e suonare vicino ai cancelli del campo. Poi arrivò il treno: i vagoni erano stipati di nuovi prigionieri.
Quando furono scesi tutti , li fecero mettere in fila e poi li divisero. I vecchi e i giovani e i deboli furono spinti oltre l'orchestra, verso l'edificio delle docce, così dissero loro; chi era forte e abile al lavoro fu condotto verso le baracche. E intanto... gli altri suonavano il loro Mozart. Capirono molto presto a che cosa serviva: a placare il terrore, a ingannare ogni nuovo carico dandogli un falso senso di sicurezza. Erano parte di una messinscena mortale. Sapevano benissimo che l'edificio delle docce era una camera a gas.
Suonarono una settimana dopo l'altra, un mese dopo l'altro, un treno dopo l'altro. E ventiquattr'ore al giorno i camini del forno crematorio sputavano fuoco e fumo e puzzo. Finché non ci furono più treni; fino al giorno in cui i campi vennero liberati.
Michael Morpurgo, La domanda su Mozart
Rizzoli, Milano 2008, pp. 50-57
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