Giovanni Pascoli ha una personalità con alcune caratteristiche che risentono delle esperienze infantili.... Una fragilità emotiva forte, una virilità non certo esuberante. Tutto ciò non lo pone nemmeno in un manicomio dell'immaginazione, ma rimane sullo scenario dell'esistenza, su questo teatro difficile dove si mette in scena la commedia più assurda: la propria vita...
Pascoli ha sofferto e in questo è un tragico, perché ha sofferto tanto, troppo.
A un certo punto, esattamente nell'estate del 1894, ha incominciato a suicidarsi. La dipendenza dall'alcol rende la vita ancor più difficile perché modifica e fa perdere la propria identità: un'identità dentro il dolore. Un'illusione perché l'alcol genera dolore modificando il dolore.
Il Pascoli è un dipendente per definizione e ha cambiato soltanto il proprio padrone o ne ha aggiunto un altro.
Dapprima la madre e il padre, ma era la dipendenza d'amore, poi Ida [una sorella ndr], anch'essa oggetto d'amore sostituto della madre. Poi la dipendenza da Mariù [un'altra sorella ndr], il segugio, il demone distruttivo, egoista e geloso. Poi una sostanza chimica. La peggiore delle dipendenze possibili. Orrenda ma anche popolare, diffusa talmente da non apparire nemmeno cattiva, poiché talvolta produce euforia e percezioni eroiche.
Il Pascoli grande poeta, poeta del dolore e della tragedia di vivere ha sorriso con un bicchiere di vino in mano. Un bicchiere che sembrava rendere il mondo migliore. Quel sorriso è ancor più tragico di un lamento di dolore. E' un dolore ubriaco.
Certo la storia è quella di un grande poeta e il suo fascino consiste proprio nella correlazione tra questa grandezza e una vita povera, persino banale, crudelmente banale...
Se qualcuno è ancora convinto che la sofferenza non possa generare arte, ora dovrà finalmente ricredersi. Non ne è la musa esclusiva, ma certo quella che fa più grande l'arte e che ha reso grande Giovanni Pascoli.
Vittorino Andreoli, I segreti di casa Pascoli
RCS Libri, Milano 2006, pp. 242, 243