... Due distinte accezione del termine "gusto".
Una è quella del "gusto" inteso come sapore, come sensazione individuale della lingua e del palato: esperienza per definizione soggettiva, sfuggente, incomunicabile. Da questo punto di vista l'esperienza "storica" del cibo è irrimediabilmente perduta.
Ma il "gusto" è anche sapere, è valutazione sensoriale di ciò che è buono o cattivo, piace o dispiace: e questa valutazione, come abbiamo detto, viene dal cervello prima che dalla lingua. Da questo punto di vista il gusto non è affatto una realtà soggettiva e incomunicabile, bensì collettiva e comunicata. E' un'esperienza di cultura che ci viene trasmessa fin dalla nascita, assieme alle altre variabili che concorrono a definire i "valori" di una società.
Una è quella del "gusto" inteso come sapore, come sensazione individuale della lingua e del palato: esperienza per definizione soggettiva, sfuggente, incomunicabile. Da questo punto di vista l'esperienza "storica" del cibo è irrimediabilmente perduta.
Ma il "gusto" è anche sapere, è valutazione sensoriale di ciò che è buono o cattivo, piace o dispiace: e questa valutazione, come abbiamo detto, viene dal cervello prima che dalla lingua. Da questo punto di vista il gusto non è affatto una realtà soggettiva e incomunicabile, bensì collettiva e comunicata. E' un'esperienza di cultura che ci viene trasmessa fin dalla nascita, assieme alle altre variabili che concorrono a definire i "valori" di una società.
Massimo Montanari, Il cibo come cultura
Editori Laterza, Bari 2006 p. 14