
Nel racconto del suo viaggio intorno al mondo a bordo della fregata La Boudeuse e della nave L’Etoile, Luis Antoine de Bougainville racconta che al suo arrivo a Tahiti, nell’aprile del 1768, un indigeno, un vegliardo dall’apparenza centenaria, rifiutò di unirsi alla folla entusiasta dei tahitiani che era venuta ad accogliere i navigatori stranieri.
Unico fra tutto il suo popolo, indifferente a quella specie di estasi in cui la comparsa degli europei aveva fatto cadere la sua gente, non mostrò alcun timore alcuno stupore, neanche curiosità. Semplicemente, si ritirò nella sua capanna, vi rimase confinato durante tutto il soggiorno di Bougainville e del suo equipaggio e ne uscì visibilmente sollevato, soltanto il giorno della sua partenza...
Trent’anni dopo, nel suo supplemento al viaggio di Bougainville, Denis Diderot riprese il racconto là dove l’aveva concluso l’esploratore e immaginò l’addio del vecchio tahitiano al capitano della Boudeuse:
“Tu sei venuto... Noi abbiamo rispettato la nostra immagine in te. Lasciaci i nostri costumi: sono più saggi ed onesti dei tuoi. Non vogliamo barattare quella che tu chiami la nostra ignoranza con i tuoi inutili Lumi. Tutto ciò che ci è necessario o è buono, lo possediamo. Meritiamo disprezzo perché non abbiamo saputo crearci bisogni inutili? Quando abbiamo freddo disponiamo di che vestirci. Sei entrato nelle nostre capanne: di cosa mancavano, secondo te? Insegui finché vorrai quelle che chiami comodità della vita, ma permetti a esseri sensati di fermarsi nel momento in cui potrebbero ottenere, a seguito di sforzi gravosi, soltanto beni immaginari. Se ci convinci a superare il ristretto confine del bisogno, quando finiremo mai di lavorare? Quando godremo? Abbiamo reso le somme delle nostre fatiche annuali e giornaliere più ridotte possibile, perché nulla ci appare preferibile al riposo. Va’ ad agitarti nel tuo paese, a tormentarti quanto vorrai, lasciaci riposare: non ci riempire la testa con i tuoi bisogni fittizi e con le tue chimeriche virtù. Guarda questi uomini: vedi come sono dritti, sani e robusti. Guarda queste donne: vedi come sono dritte, sane, fresche e belle. Prendi quest’arco, è il mio: chiama in aiuto uno, due, tre, quattro dei tuoi compagni e cercate di tenderlo. Io lo tendo da solo. Lavoro la terra, mi arrampico sulla montagna, attraverso la foresta, percorro una lega, in pianura, in meno di un’ora. I tuoi giovani amici hanno fatto fatica a seguirmi. E ho superato i novant’anni”.
P. Alphandéry, P. Bitoun, Y. Dupont, L’equivoco ecologico
Sei, Torino, 1997, pp. 93,94
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