1.10.06

LA FIDUCIA CHE GUARISCE

Quello che mi distingue dai "malati" è soltanto l'aver acquisito una capacità di gestire le lame del dolore profondo con un briciolo di destrezza. Sanità mentale non significa cancellare la sofferenza. Non credo sia possibile farlo…
Ma continuo a non capire. Perché, in che modo, sono riuscita ad apprendere queste cose, che altri invece non sanno? Come ho potuto lasciarmi alle spalle, almeno per il momento, i relitti del naufragio e costruire qualcosa di stabile e duraturo nella mia vita? La mia progonosi, dopo tutto, era pessimista...
Sono convinta che la mia forza abbia a che fare con il ricordo, con il concetto della fluidità del tempo. Perché se da un lato rivedo con chiarezza il terrore dell'abuso, rammento anche il verde e tenero sogno dell'infanzia, la membrana umida di una foglia contro il mio naso, i rospi che orinavano una polla dorata nel palmo della mia mano. Delicati piaceri, la cui memoria mi ha colmato di una fede solida e incrollabile. Sono d'accordo con Dostoevskij quando scrisse: "Se un uomo conserva anche solo un bel ricordo nel cuore, questo basterà a salvarci". Io ho viaggiato sull'ala del ricordo...
Io ho avuto l'immensa fortuna di trovare una famiglia adottiva, dove rimasi per quattro anni, fino ai diciotto, e dove fui circondata da cure affettuose e da una sincera fiducia. Anche quando mi comportavo tanto male e mi tagliavo con il coltello della carne in cucina o, per rabbia, ingoiavo tutto l'Excedrin del loro armadietto delle medicine e dovevo essere di nuovo ricoverata, i miei genitori adottivi non hanno mai smesso di credere nelle mie potenzialità di sviluppo e testimoniavano questa convinzione, ogni volta, accogliendomi ancora tra loro. Questa testarda perseveranza deve aver lasciato un segno, mostrandomi piano piano, nel corso degli anni, come riconoscere in me le cose che potevano essere salvate.
Sia benedetta quella gente, perché sono i mattoni della mia solida fede. Siano benedette le storie che la mia mamma adottiva mi leggeva, le storie che più tardi mi ascoltò raccontare, i suoi fini capelli biondi che scendevano in un unico velo. La casa vecchia tapezzata di listelli, piena di covi e rifugi dove amavo rannicchiarmi, dove la pioggia batteva su un tetto pieno di falle, e il giardino cosparso di pozzanghere dove un meraviglioso pastore tedesco mi leccava la faccia, mi offriva la zampa e abbaiava giocando nell'acqua. Sia benedetta la notte laggiù, la luce del corridoio che lasciavano accesa per me, un tenue bagliore giallo che io trasformavo in un'ala, in una donna, in una schiera di angeli che, imparai a immaginare, mi cullavano nel sonno.

L. Slater, Le stelle di Van Gogh
Mondadori, Milano, 1997, pp. 178-180
Foto by Chirkman