
Il viaggio del 1763-66, il grande viaggio, fu sicuramente un evento sensazionale per me, per i miei, per il pubblico. Avevamo visto Vienna ed eravamo stati ricevuti dagli imperatori d’Austria. E già era una cosa non da poco, per dei musicisti di provincia. Vedemmo altre grandi città d’Europa, fummo ricevuti dai reali di Francia, d’Inghilterra e d’Olanda, solcammo per la prima volta il mare, conoscemmo popoli, religioni, linguaggi, costumi, alimentazioni, culture diverse, incontrammo molti musicisti e io imparai da essi un’infinità di cose, tanto che a nove anni fui in grado di scrivere cinque sinfonie e di far uscire le mie prime musiche a stampa. L’eco dei nostri – ma specialmente dei miei – successi rimbalzò nei giornali e trovò un canale di diffusione capillare nelle lettere che gli aristocratici si scambiavano dai quattro angoli d’Europa. Fummo, per così dire, sulla bocca di tutti coloro che nel mondo contavano qualcosa e avremmo potuto andare, perché ci invitarano, anche ad Amburgo, in Danimarca e in Russia.
Il grande viaggio divenne in breve tempo leggendario, tanto che già le tre successive discese in Italia non furono circonfuse dall’alone del fiabesco. E il seguito? Il seguito fu la disfatta. Avrei dovuto morire a dodici anni, e sarei divenuto io, non il mio viaggio, la leggenda. Invece chi mi aveva ammirato da bambino fu deluso quando mi ritrovò uomo. Che cosa dovette provare il principe elettore di Monaco, vedendomi passare nella sua città affamato musicista senz’arte né parte, quattordini anni dopo che vi ero passato da trionfatore, teso alla conquista di Parigi? Che cosa dovette provare il barone Grimm che si era esaltato per il mio genio nel 1764, quando mi rivide a Parigi nel 1778 come un postulante fastidioso a cui tutti chiudevano le porte in faccia? Ero stato un semidio, ero diventato un mendico. E questo il mondo non te lo perdona.
Piero Rattalino, Vita di Wolfgango Amadeo Mozart scritta da lui medesimo
Il Saggiatore 2005, pag. 101Foto by Sculpture