25.2.07

MATERNITA' NEGATA


A volte mi sono chiesta se rimanere incinta non sia per una donna un modo per provare a se stessa di essere dotata di un potere forte, il solo di cui siano state storicamente dotate le donne: si tratta di un potere che ha perso la sua vera essenza, ma che rimane nell'ombra come il mito di una forza recondita e vitale...
L'aborto sembra essere il luogo maledetto dell'impotenza storica femminile. Lì dove si rappresenta la perdita ripetuta del controllo sulla riproduzione della specie. L'aborto è dolore e impotenza fatta azione. E' l'autoconsacrazione di una sconfitta. Una sconfitta storica bruciante e terribile che si esprime in un gesto brutale contro se stesse e il figlio che si è concepito.
L'aborto è un segnale di malessere e di guerra con se stesse per le donne che lo praticano. Un segnale di guasto nel delicato rapporto che lega una madre ad un figlio. L'aborto è la divinizzazione del nulla dopo aver praticato l'imitazione fasulla di un potere perduto nel difficile cammino femminile in un mondo maschile che nega alle donne autonomia e rispetto.
Nell'inimicizia di sé che accompagna la sorte delle donne, l'aborto sembra il bisticcio ineluttabile di una contraddizione senza scampo. Le donne, più sono bistrattate, disprezzate, tenute ai margini e più sentono il bisogno di provare, in modo tortuoso, disperatamente masochistico e rischioso, quel potere che la storia dei padri ha cancellato dalla loro vita.

Dacia Maraini, Un clandestino a bordo
Mondadori, Milano 1996, pp. 18,24

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