3.10.07

VIVERE TRA GIUSTIZIA E PERDONO

La pistola. Mio padre aveva una pistola d'ordinanza, come naturale. Era una rivoltella piccola. La teneva smontata in un armadio nascosta tra i golf. Una mattina mia madre, riordinando, non la trovò più. Quando gli chiese spiegazioni, lui le rispose che l'aveva riportata in questura e che lì sarebbe rimasta. Alle sue insistenze, concluse: "Gemma, lasciamo perdere, non la voglio tenere qui e non la voglio portare con me" e poi, questo è un concetto che ripeté anche agli amici che si stupivano per il fatto che non girasse armato "Non mi servirebbe a niente: se mi spareranno, lo faranno alle spalle. Non avranno mai il coraggio di colpirmi guardandomi negli occhi. E se avessi il tempo di accorgermi, non vorrei mai sparare a qualcuno"...
Mentre tutto si sfascia trionfa la retorica, la forma, ci sono i funerali imponenti, le autorità in divisa, i corazzieri del Quirinale, il ministro dell'Interno in visita a casa e l'indignazione della politica che lancia moniti e promesse. Dopo un attimo restano poche cose, minime. Immagino una persona intenta a setacciare la spiaggia in cerca di oggetti personali dopo una tempesta, un uragano, china a riconoscere cosa ancora gli appartiene. Resta una realtà fatta di una ricostruzione lentissima, di un recupero faticoso di memorie, un percorso che per molti si trasforma in una sofferenza senza fine, tanto da spingere alla fuga o alla rimozione.

M. Calabresi, Spingendo la notte più in là.
Storie della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo

Mondadori, Milano 2007, pp. 8, 57
Foto by Duncan