6.1.08

L'OCEANO

Erano anni che mi covavo il pensiero dell'oceano. Anni che guardavo le strade sulla cartina e me le studiavo nei dettagli; è stata, per lungo tempo, una faccenda tra me e la cartina. Era il mio viaggio, il regalo che volevo farmi. Bastava avere diciotto anni e una macchina sotto il sedere, con un bel pieno di benzina.
Partire e basta, da soli.
Ognuno si sogna quel che vuole per la fine del liceo. Io mi sognavo questo, gli altri no. I miei compagni si sognavano altro, ad esempio andare ad Amsterdam con la tenda arrotolata nello
zaino oppure un corso pre universitario a Princeton. Dipende da cosa vuoi nella vita. Io volevo l'oceano. Volevo andare a vedere di che colore era, se era diverso dal mare della mia isola ad esempio, se davvero un oceano è più grande di un mare. Cercavo l'idea di grandezza, l'idea. Speravo di incontrarla, di vedermela davanti spianata e palpitante. Mi tenevo stretto questo pensiero per quando avrei finito la scuola, ero libero e la vita ce l'avevo davanti, dico la vita che volevo, che è un po' come avere un oceano davanti. Avevo solo paura che invece non fosse niente, che fosse come il mare, perché l'infinito te lo da benissimo anche un mare, non c'è bisogno di un oceano: finiscono tutti e due con l'orizzonte, e l'orizzonte è uguale da tutte le parti, non è che c'è scritto sopra «orizzonte di mare» oppure «orizzonte di oceano».
Così sono andato a vedere. Mi sono detto: vado sempre dritto finché trovo l'oceano. E l'ho trovato. È stato anche facile, non c'era bisogno di tante cartine, bastava andare sempre verso ovest e lo trovavi subito l'oceano, e neanche chissà in quale paese: in Francia, bastava andare in Francia fino a dove finisce la terra, niente di straordinario.
E così l'ho trovato. L'ho sentito, prima di vederlo. Era ancora notte, ma io l'ho sentito col naso, Ho pensato: ecco, questo è l'odore dell'oceano.
Poi ci sono arrivato davanti, al mattino, che cominciava appena a diventare chiaro, un leggero chiarore azzurro, ma ancora azzurro notte. Io da solo, tutto silenzio. Ho preso una strada dritta, che finiva in uno slargo. Ho posteggiato, sono sceso, ho fatto una ventina di passi, c'era un muretto e dietro il muretto lui, l'oceano; lì spalmato davanti che ti respira largo come l'universo, e tu dici: ecco, appunto, io intendevo questo.
Non era per niente come il mare: era l'oceano. Come mi aspettavo. L'esattezza delle cose che ti aspetta, la perfetta coincidenza di ciò che hai immaginato con ciò che è, la felicità di vedere che le due cose si sovrappongono esattamente e non c'è più divario tra pensiero e realtà.
Stupendo. Non facile. Quasi sempre ti fai un'idea delle cose che poi non è mai quella.

Paola Mastrocola, Una barca nel bosco
Ugo Guanda Editore, Parma 2004, p. 175-176